Fragilità – Fotografie di Barbara Luisi

Giovanna Pennacchi è lieta di presentare la mostra

Fragilità

Fotografie di Barbara Luisi

a cura di Manuela De Leonardis

21 novembre – 14 dicembre 2016

inaugurazione lunedì 21 novembre – ore 18.30

Corpi che s’intrecciano dando forma a passi di una danza virtuale, dialoghi serrati di sguardi: la serie Fragilità (2013-2015) definisce il senso d’intimità, lasciando affiorare tracce di un erotismo non affatto provocatorio. Spesso sono le mani e i piedi le parti del corpo catalizzanti. La confidenza, di cui Barbara Luisi viene resa partecipe, nasce da gesti istintivi e improvvisi dei modelli (non professionisti), piuttosto che da esigenze del set fotografico, dalle loro parole sussurrate e dal modo in cui si muovono nell’oscurità del suo studio, “ognuno esprimendo i propri sentimenti dell’essere chiusi in sé.” Una libertà incondizionata – percepibile – che entra, quindi, nella costruzione dell’immagine. Fragilità intesa più che come condizione psicologica di qualcosa tendenzialmente labile, nelle sue potenzialità di dono, del segreto da proteggere.

Fonte inesauribile d’ispirazione, accanto alla natura, l’arte in tutte le sue declinazioni attraverso i secoli. Soprattutto quella che si respira a Roma, dove Luisi si reca a 18 anni quando inizia a fotografare. La Pietà di Michelangelo – quella naturalezza composta delle figure e l’aspirazione alla perfezione delle forme – è un modello che tornerà nel tempo, insieme alla teatralità nell’uso della luce tipicamente caravaggesca e alla sensualità palpitante e ambigua che trapela dalle sculture di Bernini, tanto più quando il soggetto è l’Estasi di Santa Teresa.

L’eredità della classicità – assorbita e rielaborata nel tempo – è sintetizzata da un’opera emblematica come il Torso di Discobolo (restaurato come guerriero ferito) dei Musei Capitolini, copia marmorea del I sec d.C. da Mirone, restaurata e re-interpretata tra il 1658 e il 1733 dallo scultore francese Pierre-Etienne Monnot, in cui la tensione dello slancio è già catturata dal momento successivo.

Il linguaggio del bianco e nero, attraverso l’utilizzo della pellicola, stampando prevalentemente alla gelatina ai sali d’argento su carta baritata o a pigmenti – talvolta anche al platino – è una necessità che porta la fotografa all’interpretazione del reale attraverso una riduzione degli elementi. Proprio come avviene nella musica, dove innumerevoli possibilità si esprimono attraverso la combinazione di solo sette note.

(Manuela De Leonardis)

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Barbara Luisi è nata a Monaco di Baviera, vive e lavora tra New York, Zurigo e Camogli (GE). Violinista dall’età di nove anni, dopo il diploma alla Munich Arts and Music Highschool ha proseguito gli studi presso la Hochschule für Musik und Theater di Monaco. Ha suonato in importanti orchestre europee quali la Munich Philharmonic, l’Orchestre du Capitole de Toulouse e la Bayerische Staatsoper ed è stata Primo Violino nel Pocci String Quartet. Affascinata dalla camera oscura, a 17 anni ha iniziato ad interessarsi alla sperimentazione fotografica. La ritrattistica, spesso associata al teatro e alla musica, è tra i generi che predilige, insieme a nudo, still life e notturni. Ha studiato e lavorato con i fotografi Eikoh Hosoe, Art Streiber, Michael Grecco e Jock Sturges. Tra le mostre personali recenti: 2016 – Vita Aeterna, Isaia, New York; 2015 – Florence after Nightfall, Teatro dell’Opera, Firenze; Dreamland, Glorietta gallery, Beirut; Night on Earth, NYU University, New York; 2014 – &Elig;UVRES RÉCENTES, Maison Européenne de la Photographie, Parigi; Night and Nude, galleria Emmeotto, Roma; Dreamland, Auditorium Fondazione Paolo Grassi, Martina Franca (TA).

E’ autrice dei libri fotografici: Nude Nature (Böhlau, 2008), Glühende Nacht (Böhlau, 2008), Pearls, Tears of the Sea (Böhlau, 2011) e Dreamland (Contrasto, 2014)

www.barbaraluisi.com

Informazioni:

Fragilità. Fotografie di Barbara Luisi

21 novembre – 14 dicembre 2016

inaugurazione lunedì 21 novembre – ore 18,30

a cura di Manuela De Leonardis

ACTA INTERNATIONAL

direzione: Giovanna Pennacchi

via Panisperna, 82-83 – 00184 Roma

dal martedì al sabato ore 15.30 – 19.30

Tel 064742005

info@actainternational.it

www.actainternational.it

A STRATI – Photographs by Simon d’Exéa

ertree

ACTA INTERNATIONAL

Giovanna Pennacchi is pleased to present the exhibition

A STRATI

Photographs by Simon d’Exéa

Diego Mormorio, Curator

April 20  — May 20, 2016

Opening Wednesday, April 20, 2016

At 6.30 pm

The twelve photographs in black and white, measure 40 x 30 cm (16 x 12 inches), were made by layering, hence the exhibition’s title. The photographs are of architecture: simultaneous visions, as can be seen in the 1911 painting by Umberto Boccioni, for whom simultaneity was “an absolute necessity in a work of art. ” Diego Mormorio, the exhibition’s curator, explains that Simon d’Exéa “is on this road – the only poetically viable one – but it’s with his own particular approach. He seems committed to staying on the marvelous sea of simultaneity, keeping an eye open to Renaissance methods.”

The images on display portray monuments and places in Rome and Paris. The photographer was born in 1983 in Paris. The works are layerings of multiple photos of the same place taken from different angles. Among the portraits of monuments by the photographer, the Church of Sant’Agostino in Torre Maura, the Casa delle armi in Moretti, the Church of Santa Maria alla Navicella, the Imperial Forum.

The work of these compositions has a purely aesthetic base, a play on the images of the chosen place that is imprinted on the memory.

The images in this exhibition are all unpublished, and were conceived and created especially for this exhibition.

Simon d’Exéa attended the Masters Program in Photography at the Roman School of Photography (2002-2005) simultaneously working as an assistant in the photographic studio. From 2005 to 2010, he was assistant to the photographer, Claudio Abate, and since 2010, to the artist, Ileana Florescu. He has collaborated with various publications, including the Italiana Arte magazine, the Japanese magazine, Spur, and the French magazine, Elle. Specializing in Contemporary Art photography, he has collaborated with numerous artists, including Piero Pizzi Cannella, Oliviero Rainaldi and Giovanni Albanese, and with museums and galleries, including the MACRO and The Fabio Sargentini Studio.

ACTA INTERNATIONAL

Via Panisperna n 82 – 00184 Roma

Tuesday – Saturday     4 –  20 pm

Tel +39 06 4742005  – info@actainternational.it

www.actainternational.it

Press office:

Allegra Seganti – allegraseganti@yahoo.it – 335/5362856

Flaminia Casucci – flaminiacasucci@gmail.com – 339/4953676

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ACTA INTERNATIONAL

Direzione: Giovanna Pennacchi

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A STRATI – fotografie di Simon d’Exéa

ertree

Giovanna Pennacchi è lieta di presentare la mostra

A STRATI

fotografie di Simon d’Exéa

a cura di Diego Mormorio

20 aprile – 20 maggio 2016

Inaugurazione mercoledì 20 aprile 2016

Ore 18.30

Inaugura mercoledì 20 aprile 2016 alle ore 18.30 presso la galleria “Acta International” di Giovanna Pennacchi, la mostra A Strati, personale di Simon d’Exéa curata da Diego Mormorio.

Le dodici fotografie in bianco e nero, delle dimensioni di 40x30cm, sono ottenute attraverso sovrapposizioni, da cui il titolo, di fotografie di architettura: visioni simultanee, come il quadro dipinto nel 1911 da Umberto Boccioni, per il quale la simultaneità era “una necessità assoluta nell’opera d’arte“. Simon d’Exéa, come spiega il curatore della mostra Diego Mormorio “è su questa strada – l’unica poeticamente percorribile – , ma lo è con un suo particolare approccio. Egli sembra, infatti , impegnato a restare nel meraviglioso mare della simultaneità tenendo aperto un occhio sull’impianto rinascimentale “.

Le immagini in mostra ritraggono monumenti e luoghi di Roma e Parigi, città natale del giovane fotografo, classe 1983. Le opere sono sovrapposizioni di più foto dello stesso luogo, riprese da angolazioni diverse. Tra i monumenti ritratti dal fotografo la Chiesa di Sant’Agostino a Torre Maura, la Casa delle Armi di Moretti,  la Chiesa di Santa Maria alla Navicella, i Fori Imperiali.

Il lavoro di composizione è basato su una ricerca puramente estetica, un gioco sulle immagini del luogo prescelto che rimangono impresse nella memoria.

Le immagini della mostra sono tutte inedite, pensate e create appositamente per la mostra.

Simon d’Exéa ha frequentato il Master in Fotografia presso la Scuola Romana di Fotografia (2002-2005) lavorando contestualmente come assistente di sala posa. Dal 2005 al 2010 è assistente del fotografo Claudio Abate e dal 2010 dell’artista Ileana Florescu. Ha collaborato con varie testate tra cui la rivista italiana Arte, quella giapponese Spur Magazine e quella francese Elle. Specializzato nella fotografia d’Arte Contemporanea, collabora con numerosi artisti tra cui Piero Pizzi Cannella, Oliviero Rainaldi e Giovanni Albanese e con musei e gallerie tra cui il MACRO e L’attico di Fabio Sargentini.

 

 

Ufficio Stampa:

Allegra Seganti – allegraseganti@yahoo.it – 335/5362856

Flaminia Casucci – flaminiacasucci@gmail.com – 339/4953676

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Direzione: Giovanna Pennacchi

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Testo critico di D. Mormorio

Tutto è stato detto. Si tratta di dirlo diversamente. E Simon d’Exéa quello che dice in questa mostra lo dice bene e facilmente sarebbe capito dai nostri padri preistorici che quindicimila anni fa disegnarono nella grotta dei Trois Frères, nella zona di Montesquieu-Avantès, in Francia. Quando, poco più di un secolo fa, questi disegni furono scoperti lasciarono sbalorditi. Ci si trovò di fronte a degli stupefacenti grovigli di immagini. Osservandoli, balzò immediatamente all’occhio l’incompiutezza delle figure e la loro sovrapposizione, apparentemente del tutto disordinata. Ci si trovò di fronte a un’idea dello spazio che all’inizio del Novecento appariva non-realistica, perché si allontanava dalla visione prospettica, che pur da qualche tempo aveva cominciato già a dissolversi.

Un anno dopo quel ritrovamento, nel 1911 Umberto Boccioni (1882-1916), del tutto ignaro di quei disegni preistorici, dipinse Visioni simultanee. Successivamente scrisse: “Proclamammo che la simultaneità era una necessità assoluta nell’opera d’arte moderna e la ‘meta inebriante’ dell’arte futurista. Il primo quadro che apparve con affermazione di simultaneità fu il mio ed aveva il titolo seguente: Visioni simultanee”.

Visioni simultanee, così com’erano quelle dei Trois Frères. E come sono, da qualche anno, molte prove fotografiche. Simon d’Exéa è su questa strada – l’unica poeticamente percorribile –, ma lo è con un suo particolare approccio. Egli sembra, infatti, impegnato a voler restare nel meraviglioso mare della simultaneità, tenendo aperto un occhio sull’impianto rinascimentale.

Diego Mormorio

 

FILEMONE E BAUCI Metamorfosi – Fotografie di Ottavio Celestino

Giovanna Pennacchi è lieta di presentare la mostra:

 FILEMONE E BAUCI

Metamorfosi

 Fotografie di Ottavio Celestino

A cura di Diego Mormorio

 9 marzo – 4 aprile 2016

 Inaugurazione  mercoledì 9 marzo , ore 18:30

 Acta International – Roma

Da tempo Ottavio Celestino ha posto al centro della sua ricerca il legame tra l’uomo e la natura, considerandolo un aspetto imprescindibile dell’ esistenza umana.

Con questa mostra Celestino da’ vita ad una nuova serie fotografica  che ha come soggetto i misteri del

 bosco e che prende come ispirazione il mito di Filemone e Bauci, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio.

 ” La bellezza del soggetto non è tout-court la bellezza della fotografia ma a volte – anzi spessissimo – si scambia la prima con la seconda. Nessuno degli elementi che vediamo in queste fotografie di Ottavio Celestino è di per se’ bello. Cionondimeno siamo di fronte ad immagini bellissime . Mettendo insieme le capacità compositive con una felicissima scelta della luce, il fotografo ha trasformato  quello che potrebbe apparire un modesto e del tutto ordinario bosco nel  Bosco del Mondo , dei modesti alberi in forme parlanti ….”

(Diego Mormorio , La sacralità del Bosco)

Galleria

ACTA INTERNATIONAL

Direzione: Giovanna Pennacchi

via Panisperna, 82/83

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Ottavio Celestino inizia la sua attività professionale nel 1990 con pubblicazioni e collaborazioni per diverse testate giornalistiche. Negli stessi anni inaugura un’ intensa attività di collaborazione con le principali Agenzie di pubblicià italiane ed estere tra Roma-Milano-Torino .

Membro dell’Art Director Club Italia, colleziona negli anni numerosi premi e riconoscimenti nel mondo dell’Advertising.

Molto intensa la sua presenza nell’universo espositivo realizzando molteplici progetti fine-art presso Musei e Gallerie Italiane ed Estere.Tra i più rappresentativi si possono annoverare: Museo d’arte Contemporanea L. Pecci, Museo Bilotti di Rende, Palazzo delle Esposizione di Roma, Istituto italiano di Cultura Strasburgo, Fondazione Pastificio Cerere di Roma dove dal 1999 è attivo il proprio studio-atelier .

Espone altresì in Gallerie quali Ex Elettrofonica Roma, Mia Art Fair Milano,Officina Giovani Prato, Ex Magazzini Generali Roma, L&C Tirelli Losanna, Vhs Photogaleri Stoccarda.

Molteplici le sue pubblicazioni editoriali : La differenza Invisibile Ed Giuntina; Species Ed Forte; 11 Storie Carlo Cambi Editore; Men Art Work Ed Nutrimenti; Nature Meccaniche Carlo Cambi Editore.

Negli ultimi dieci anni riceve commissioni per Progetti e pubblicazioni di prestigio da: CRI, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Invitalia, Enel, Tim.

Negli anni 2012/13 ,2015/16 l’influente magazine internazionale di Advertising Lùzers’s Archive lo inserisce tra i 200 Best Photographers World Wide.


La sacralità del bosco

La bellezza del soggetto non è tout-court la bellezza della fotografia, ma molte volte – anzi, spessissimo – si scambia la prima con la seconda. Un bel paesaggio non è, ad esempio, necessariamente una bella fotografia. Se la bellezza del soggetto fosse la bellezza della fotografia, per gli amanti delle rose ogni immagine di questo fiore sarebbe una bellissima composizione. Ma, in realtà, così come in pittura e in altre arti, la bellezza della fotografia risponde, a prescindere dal soggetto, a questioni tecniche quanto estetiche.

Per quanto non spiacevole, nessuno degli elementi che vediamo in queste fotografie di Ottavio Celestino è di per sé bello. Cionondimeno siamo di fronte a immagini bellissime.

Mettendo insieme le capacità compositive con una felicissima scelta della luce, il fotografo ha trasformato quello che potrebbe apparire un modesto e del tutto ordinario bosco nel Bosco del mondo, dei modesti alberi in forme parlanti.

A chi ama la letteratura latina e la mitologia greco-romana, queste immagini riportano alla mente – e davanti agli occhi – un racconto che viene dalle Metamorfosi di Ovidio, che Ottavio Celestino ama particolarmente. Si tratta della storia di Filemone e Bauci, una coppia che abitava in una modesta capanna di canne e fango, davanti alla quale un giorno si presentarono due viandanti malridotti, che nessuno aveva voluto ospitare nella sua comoda dimora. Del tutto ignari della vera natura dei due venuti, che in realtà erano Zeus ed Ermes, Filemone e Bauci li fecero entrare. Al momento della loro ripartenza i due ospiti si rivelarono per quello che erano e chiesero a Filemone e Bauci di esprimere un desiderio. I due chiesero di poter diventare sacerdoti del tempio di Giove e di poter morire insieme. Il padre degli Dei accolse la loro richiesta e poco prima che essi morissero li trasformò l’uno in un tiglio e l’altra in una quercia.

Il mito ovidiano attinge a una tradizione antichissima e che rimane viva in vari luoghi, è tutt’uno col culto degli alberi.

Ancora fino a pochi secoli fa, l’Europa era coperta da un’immensa foresta primigenia, che ispirava miti e credenze, ma anche generava paure – basti citare l’inizio della Divina Commedia: “ Nel mezzo del cammin di nostra vita /
mi ritrovai per una selva oscura,
/ ché la diritta via era smarrita. // Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
/ esta selva selvaggia e aspra e forte
/ che nel pensier rinova la paura”.

Luoghi paurosi perché labirintici, ma anche perché sostanzialmente magici e, sin dalla preistoria, sacri.

Dagli albori della nostra cultura, l’albero è stato simbolo di rigenerazione e di cambiamento, associato a quella che Marja Gimbutas ha chiamato la Grande Dea.

Ancora oggi all’interno dei riti cattolici rimane viva – anche se da moltissimi incompresa – la presenza di questo antichissimo culto degli alberi. In Sicilia, come altrove del resto, vi sono varie processioni che rimandano ad esso. A Cerami, ad esempio, per festa di San Sebastiano, i fedeli, dopo aver pregato nella chiesa a lui dedicata, a piccoli gruppi si recano nei boschi vicini e raccolgono dei rami di alloro che saranno raccolti in pesanti fasci alti quasi tre metri e trasportati durante la processione. Nello stesso periodo la raccolta dell’alloro si ripete in diverse altre feste, fra cui quella di San Vito a Regalbuto, dove, per sciogliere un voto o chiedere una grazia, molti devoti si recano nei boschi: le donne spesso coi capelli sciolti, in segno di penitenza.

La sacralità dei boschi è stata anticipata soltanto dai riti che in età preistorica si celebravano nel ventre della montagna, nelle grotte, dove i nostri antichissimi padri compivano un ritorno all’origine: un’ascesa verso il Cielo e una discesa alle viscere della Terra. Riti di cui ci rimangono magnifiche tracce in tanti siti archeologici e soprattutto nella Grotta Chauvet (i cui dipinti risalgono a circa 30 mila anni fa) e in quelle di Lascaux e Altamira, le cui immagini sono di circa 15 mila anni più recenti.

Il bosco divenne un tempio diverse migliaia di anni dopo. I uno dei libri a me più cari, Il ramo d’oro – uscito nella prima versione nel 1890 e che cita nel titolo il famoso quadro di Turner, raffigurande il lago di Nemi – James Frazer scrive: “Da un esame delle parole teutoniche significanti ‘tempio’ il Grimm ha dimostrato che probabilmente tra i Germani i più antichi santuari non erano che boschi naturali. Comunque sia, il culto degli alberi è bene attestato fra tutte le grandi famiglie europee di razza ariana. Tra i Celti, il culto delle querce dei Druidi è familiare a ognuno, e la loro antica parola per santuario sembra identica nell’origine e nel significato al latino nemus, bosco o radura nel bosco, che ancora sopravvive nel nome di Nemi. Sacri boschetti erano comuni tra gli antichi Germani e il culto degli alberi non è del tutto estinto tra i loro discendenti di oggi. Quanto questo culto sia stato profondo nei tempi passati si può ricavare dalla pena feroce a cui le antiche leggi germaniche condannavano chi avesse osato strappare la corteccia di un albero. Si tagliava l’ombelico del colpevole, lo si inchiodava a quella parte dell’albero che egli aveva scortecciato, e la vittima veniva trascinata intorno all’albero finché tutti i suoi intestini non si fossero avvolti intorno al tronco. Evidentemente il significato della punizione era di rimpiazzare la corteccia morta con un sostituto vivente preso dal colpevole; una vita per l’altra, la vita di un uomo per la vita di un albero”.

Da sempre, dunque, gli alberi abitano l’uomo, non meno di quanto abitano i boschi. Fanno parte del più intimo legame tra l’uomo e la natura. Legame che da diversi anni Ottavio Celestino ha posto al centro della sua ricerca, considerandolo un punto assolutamente ineludibile dell’esistenza. Un primo capitolo di questa sua ricerca ce lo ha dato nella bellissima mostra “Nature meccaniche”, le cui immagini sono raccolte in un libro che ha lo stesso titolo: 29 fotografie, che, ad eccezione di una ripresa in Giappone, sono paesaggi innevati ripresi in Islanda, Finlandia e Lapponia. Sono fotografie nate dalle suggestioni che gli sono venute dalla lettura delle Operette morali di Leopardi, e segnatamente dal Dialogo della natura e di un islandese. Lì, come nelle immagini di questa mostra, la natura ci interroga, ci chiama a sé, pur lasciandoci lo spazio per intervenire in essa, perché, così come diceva il filosofo tedesco Romano Guardini, “nella natura ancora vergine, in quell’ordine in cui vive l’animale, l’uomo non potrebbe esistere. L’esistenza umana è permeata di spirito, ma lo spirito non può operare se non dopo aver portato via alla natura un po’ della sua realtà”.

Diego Mormorio


 

ABRUZZO 1935 – AFGHANISTAN 1978 Photographs by Pasquale and Riccardo De Antonis

Giovanna Pennacchi is pleased to present the exhibition:

 ABRUZZO 1935

 AFGHANISTAN 1978

Photographs by Pasquale and Riccardo De Antonis

Diego Mormorio, Curator

Opening on January 27th at 6:30 PM  

ACTA INTERNATIONAL ROME

 January 27 to February 17, 2016

This exhibition was born out of Riccardo’s memories. Upon his return to Italy, he showed the photographs he took during his Afghanistan trip to his father, Pasquale. Upon observing them – Riccardo recalls – Pasquale couldn’t help but notice that in those faces, in those landscapes, in that atmosphere, it seemed he could recognize “something essential” of the Abruzzo that he himself had captured many years earlier in his well-known ethnographic exploration photographs.

Hence the link between Abruzzo and Afghanistan that gives the show its title: ABRUZZO 1935 – AFGHANISTAN 1978 ;countries and times so far apart, yet both with that poetic “something” that universally unites them.

The exhibition consists of circa 26 images: Pasquale’s vintage photographs are in black and white, while Riccardo’s photographs are in color, and nearly all are unpublished.

Galleria

ACTA INTERNATIONAL

Direzione: Giovanna Pennacchi

via Panisperna, 82/83

00184 Roma

tel +39 06.47742005

www.actainternational.it

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