Presentazione libro “Nunca Más” – 2 dicembre 2015

2 Guido Orsini, Matador, 1995 (courtesy of the Artist) 11Acta International Vi invita mercoledì 2 dicembre alle ore 18:30 alla presentazione del libro Nunca Más di Guido Orsini, con il testo critico di Manuela De Leonardis, realizzato in edizione limitata.

Con l’occasione, inoltre, Vi informiamo che la mostra è prorogata fino al 12 dicembre p.v.

Nunca Más fotografie di Guido Orsini

di Manuela De Leonardis

Alle cinque della sera si consuma il dramma: “solo il toro ha il cuore in alto!” recita Federico García Lorca in una strofa della poesia La morte del torero, lamentando la morte del suo amico, il torero Ignazio Sànchez.

Anche Edouard Manet, tra il 1864 e il 1865, dipinge quadri con il soggetto della corrida, tra cui La morte del torero (oggi alla National Gallery of Art di Washington).

In letteratura ci pensa Ernest Hemingway a centrare l’argomento, che lo accompagnerà dall’inizio degli anni ’20 fino al 1960, con il saggio Morte nel pomeriggio (1932), quando afferma che “La corrida non è uno sport nel senso anglosassone della parola, vale a dire non è una gara o un tentativo di gara tra un toro e un uomo. E’ piuttosto una tragedia; la morte del toro, che è recitata, più o meno bene, dal toro e dall’uomo insieme e in cui c’è pericolo per l’uomo ma morte sicura per l’animale.”

Di solito i toreri hanno un nome nella storia, come nella letteratura e nelle arti visive: Joselito è il torero le cui gesta sono rintracciabili nel primo romanzo di Hemingway, Fiesta e in Morte nel pomeriggio. Fu Gertrude Stein, per prima, a parlare allo scrittore della sua ammirazione per il torero. Anche Picasso, assiduo frequentatore di corride fin dall’età di otto anni (già nei dipinti del 1901 è presente questo soggetto) dipinse Lamento en muerte del torero Joselito, poi utilizzata secondo fonti recenti per la realizzazione della notissima Guernica (1937), opera-manifesto della guerra civile spagnola.

Lo stesso Picasso si sarebbe ispirato alle quaranta incisioni di Goya della serie Tauromachia (1814-16) per illustrare  il trattato che il torero José Delgado, più noto come Pepe Hillo (o Illo), scrisse nel 1796 (il libro di Picasso, invece, fu pubblicata nel 1957). Il suo minotauro, poi, è un erede diretto del toro e della tauromachia : una figura archetipa e selvaggia che incarna il dualismo della natura umana con la sua razionalità e la pulsione bestiale.

Anche nel film Matador (1986), diretto da Pedro Almodóvar, il torero ha un nome – Diego Montes (interpretato da Nacho Martínez), come pure il suo giovane allievo il torero Ángel Jiménez (Antonio Banderas): in questo caso sesso e morte sono declinati alla maniera visionaria del regista spagnolo.

Violenza, sangue, tragedia: elementi che innescano un’esaltazione crescente, che arriva all’apice finale – mortale – così come viene raccontata anche da Fernando Botero nella serie di dipinti che illustrano le diverse fasi della corrida (The Bullfight painting) – incluso La Morte di Luis Chalmetarealizzati all’inizio degli anni Ottanta e presentati per la prima volta alla Marlborough Gallery di New York nel 1985. L’artista colombiano non solo ha sempre nutrito un grande fascino per la tauromachia, ma per due anni – tra i 12 e i 14 anni – frequentò una scuola per toreri, iscritto dallo zio.

Anche i fotografi hanno dedicato parecchi dei loro scatti a questi spettacoli cruenti, spesso però i loro sono sguardi distanti che descrivono l’atmosfera più che la drammaticità del momento: nel 1994-95 Miguel Rio Branco fotografa a colori i toreri nell’arena di Madrid, Peter Marlow ritrae la torera Mari Paz (1997), mentre Martine Franck fotografa il torero francese Sebastian Castella (2003); poi ci sono Steve McCurry, Bruno Barbey, Ferdinando Scianna (che torna più volte in Spagna, anche nel 2004 per entrare nel vivo della festa di San Firmino a Pamplona).

Quanto a Inge Morath, Henri Cartier-Bresson e René Burri, i loro scatti in bianco e nero degli anni Cinquanta entrano nelle arene di Madrid, Siviglia, Pamplona osservando – sempre ad una certa distanza – anche gli spettatori. In particolare, nella nota serie che Cartier-Bresson scattò a Pamplona nel luglio 1952, il fotografo francese sembra addirittura svelare il suo vero interesse: non tanto la scena cruenta, ma la folla: nel pubblico elegante e composto si riconosce anche la coppia di scrittori, i coniugi Kenneth Tynan ed Elaine Dundy, critico teatrale il primo, romanziera la seconda.

Quanto ai tori, invece, non hanno mai un nome.

Anche nelle fotografie di Guido Orsini della serie matador c’è la corrida, ma il senso con cui queste immagini vengono presentate è profondamente diverso. Nunca más, mai più, a cui allude il titolo è già di per sé significativo. Mai più non è, infatti, una semplice locuzione avverbiale. E’ il manifesto della follia umana che mai più dovrà ripetersi.

Nella storia dell’ultimo secolo nunca más viene associato ai desaparecidos dell’Argentina e, quarant’anni prima, ai sopravvissuti del ghetto di Varsavia. Momenti tra i più bui e drammatici del XX secolo.

In questo contesto è alla corrida che si dice basta. Che la tauromachia sia uno spettacolo che risale al II millennio a.C. non è certo un dato sufficiente per giustificare il perpetuarsi delle atrocità legalizzate inflitte ai tori.

Gli animalisti di tutto il mondo non si sono mai dati per vinti esprimendo indignazione e rabbia, ed ora che in Spagna Podemos è salito al potere possono finalmente dire mai più.

Per qualcuno era addirittura considerata patrimonio culturale, questa cruenta tradizione diffusa prevalentemente in Spagna, in alcune zone del sud della Francia e del Portogallo e in molti paesi dell’America Latina.

Guido Orsini fotografa la corrida a Cartagena, in Colombia, nel 1995. Il primo giorno osserva dagli spalti, in alto, l’azione che si svolge nell’arena. Torna il secondo giorno, ma stavolta è concentrato solo sui dettagli.

La distanza crea mistero, là dove la tensione è percepibile come entità a sé stante. Affascinato, ma anche stordito, dal ritmo serrato dei rituali del combattimento egli demanda al mezzo fotografico il ruolo di testimone. Usando la pellicola non è certo del risultato di cui potrà avere visione solo a distanza di tempo, dopo aver sviluppato e stampato i rullini. Tanto più che l’uso del teleobiettivo nell’avvicinarlo al soggetto crea anche una sospensione temporale sottolineata dalla sgranatura dell’immagine che perde definizione.

Nell’arco di un’ora e mezza, due ore, durante le quali tre toreri si alternano per matare due tori ognuno, Orsini realizza una quarantina di scatti.

Colori e movimento sono i due protagonisti di questa sua evocazione in cui la narrativa è costruita sull’immaginazione. Colori brillanti, seducenti – oro, magenta, azzurro, rosso – investiti di significati simbolici.

Cromie che esprimono una femminilità esuberante in contrasto con l’aggressività e la violenza, più propriamente associati al maschile. Sembrano passi di danza in cui i soggetti – il toro e il torero – si avvicinano e si allontanano, arrivando quasi ad emanare il calore di un amplesso. Il mantello rosso si agita segnando il confine tra l’uno e l’altro.

Il fotografo non dà giudizi di sorta, si lascia semplicemente catturare dal vortice di colori, provando emozioni contrastanti. Aspetta trepidante il momento conclusivo. Il sacrificio che fa esultare la folla, erede forse di quella forma di espiazione che secoli addietro aveva portato il patibolo nelle piazze, trasformando la morte in un rito di redenzione collettiva.

 

 

Nunca más – Fotografie di Guido Orsini

Nunca más

 

Fotografie di Guido Orsini

a cura di Manuela De Leonardis

Acta International Roma

6-28 Novembre 2015

 

  

inaugurazione venerdì, 6 novembre 2015 – ore 18,30

Nunca más, mai più. Non è una semplice locuzione avverbiale. E’ il manifesto della follia umana che mai più dovrà ripetersi. Nella storia dell’ultimo secolo nunca más viene associato ai desaparecidos dell’Argentina e, quarant’anni prima, ai sopravvissuti del ghetto di Varsavia. Momenti tra i più bui e drammatici del XX secolo.

Invece, con le fotografie di Guido Orsini della serie matador è alla corrida di tori che si dice basta. Che la tauromachia sia uno spettacolo che risale al II millennio a.C. non è certo un dato sufficiente per giustificare il perpetuarsi delle atrocità legalizzate inflitte ai tori.

Gli animalisti di tutto il mondo non si sono mai dati per vinti, esprimendo indignazione e rabbia, ed ora che in Spagna Podemos è salito al potere possono finalmente dire mai più.

Per qualcuno era addirittura considerata patrimonio culturale, questa cruenta tradizione diffusa prevalentemente in Spagna, in alcune zone del sud della Francia e del Portogallo e in molti paesi dell’America Latina.

L’artista fotografa la corrida a Cartagena, in Colombia, nel 1995. Il primo giorno osserva dagli spalti, in alto, l’azione che si svolge nell’arena. Torna il secondo giorno, ma stavolta è concentrato solo sui dettagli. La distanza crea mistero, là dove la tensione è percepibile come entità a sè stante. Affascinato, ma anche stordito dal ritmo serrato dei rituali del combattimento, egli demanda al mezzo fotografico il ruolo di testimone.

Nell’arco di un’ora e mezza, due ore, durante le quali tre toreri si alternano per matare due tori ognuno, Orsini realizza una quarantina di scatti di cui ventisei vengono esposti per la prima volta alla galleria Acta International.

In Nunca Más fotografie di Guido Orsini colori e movimento sono i due protagonisti di un’evocazione in cui la narrativa è costruita sull’immaginazione. Colori brillanti, seducenti – oro, magenta, azzurro, rosso – investiti di significati simbolici.

Come scrive la curatrice: “Il fotografo non dà giudizi di sorta, si lascia semplicemente catturare dal vortice di colori, provando emozioni contrastanti. Aspetta trepidante il momento conclusivo. Il sacrificio che fa esultare la folla, erede forse di quella forma di espiazione che secoli addietro aveva portato il patibolo nelle piazze, trasformando la morte in un rito di redenzione collettiva.”

In occasione della mostra sarà realizzato un libro d’artista in edizione limitata.

 

Guido Orsini (Roma 1952) comincia negli anni Novanta la sua ricerca in campo fotografico con la sperimentazione e l’uso di tecniche nuove e materiali alternativi: pellicole positive di grande formato, toner e viraggi. Da subito è interessato ad esplorare la relazione tra fotografia, grafica e pittura. I suoi lavori fanno parte di collezioni pubbliche e private: nel 2014 l’Istituto Nazionale della Grafica ha acquisito due grandi lavori della serie Giardini antichi (1992).

Mostre:

2015 – Passato Presente, a cura di Anna D’Elia e Romina Guidelli, Sale Ruspoli, Cerveteri (Roma) (personale); 2013-2014 – Natura delle cose. Natura dei fatti. Natura della vita. Fotografie di Guido Orsini, a cura di Mary Angela Schroth, Museo Capo di Bove, Roma e Galleria Sala 1 (personale); 2013 – FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma, Linee d’ombra, a cura di Stefano Simoncini, ex GIL, Roma; 1997 – Obiettivi in estasi, galleria Alessandra Bonomo, Roma; 1996 – Reflections, Galerie Ribbentrop, Francoforte (personale); 1995 – Innatura, a cura di Barbara Tosi, galleria Stefania Miscetti, Roma (personale); 1994 – Palme, 65 Thompson –  Leo Castelli/Larry Gagosian, New York (personale).

ACTA INTERNATIONAL

direzione: Giovanna Pennacchi

via Panisperna, 82-83

00184 Roma

martedì – sabato ore 15.30 – 19.30

Tel 06.4742005

info@actainternational.it

www.actainternational.it

 

Sguardi indiretti – Fotografie di Lisistrata Simone

 

a cura di Diego Mormorio

Acta International Roma

4 giugno – 20 giugno 2015

inaugurazione giovedì 4 giugno 2015 – ore 19.00

La Galleria Acta International è lieta di presentare la mostra Sguardi indiretti della fotografa romana Lisistrata Simone.

Quella delle ombre e dei riflessi è una via misteriosa, forse anche, piena di insidie. Alessandra Lisistrata Simone ha scelto di seguirla e, per quello che ci è dato vedere, ci sembra che, evitando i pericoli, abbia saputo cogliere la bellezza. Ci sembra sia giunta ad un chiaro del bosco.

Diego Mormorio

Il mio sguardo grazie a te diventa un occhio magico, riesco così a rivedermi nei riflessi e nelle ombre e insieme a te ritrovo il mondo che mi circonda e lo rivivo impresso in un istante, scatto e lascio un’impronta, un ricordo.

Le immagini fanno parte dell’umanità, siamo circondati da immagini simboli della nostra vita quotidiana, ci esprimiamo con le parole, ma il linguaggio che usiamo ci riporta ad un immagine ad una visione. Certo ognuno di noi porta in sé una propria visione del mondo data dalle nostre esperienze, sensazioni, emozioni. E’ un po’ come ripensare al mito della caverna di Platone dove le ombre, che gli uomini incatenati nella caverna avevano proiettate sulle pareti, riflettevano la vita degli uomini e delle donne al di fuori di questa caverna e quello che era reale per gli uni non lo era per gli altri, ognuno viveva la propria rappresentazione della realtà.

Lisistrata Simone


Alessandra Lisistrata Simone, il suo primo nome è Alessandra, ma lei si sente molto legata al suo secondo nome Lisistrata, ripensando alla commedia di Aristofane. E’ nata a Roma il 27 gennaio 1967. Da sempre interessata all’arte, partendo dagli studi in ambito sociologico, ha ampliato il suo percorso introducendo sempre più un aspetto legato alla conoscenza dell’altro, con la volontà di capire la realtà che la circonda. In tutto questo percorso la passione per la fotografia l’ha avvicinata ancor più verso questo tipo di sensibilizzazione. Passando dagli occhi, toccando il cuore, per arrivare all’azione.

ACTA INTERNATIONAL

direzione: Giovanna Pennacchi

via Panisperna, 82-83

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martedì – sabato ore 17.00 – 20.30

Tel 06.4742005

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Indirect Sights – Photographs by Lisistrata Simone

Indirect Sights

Photographs by Lisistrata Simone

curator Diego Mormorio

Acta International Roma

June 4 – 20, 2015

Opening Thursday June 4 – 7,00 pm

Acta International Gallery is pleased to present Indirect Sights, photographs by Lisistrata Simone.

Shadows and reflections are a mysterious path, one, perhaps, full of pitfalls. Alessandra Lisistrata Simone chose to follow it and, for what we can see, it seems that, while avoiding the dangers, she has been able to grasp the beauty. There seems to be a glade in the forest.

Diego Mormorio

Thanks to you, my gaze becomes a magical eye; I’m able to see myself again in the reflections and shadows and with you I find again the world around me and I relive caught in an instant, I snap and leave an impression, a memory.

Images are part of humanity, we are surrounded by images, symbols of our daily lives. We express ourselves through words, but the language we use returns to us as an image and a vision. Of course each of us carries within his own world view formed by experience, feelings, emotions. It is like the myth of Plato’s cave, where shadows cast by men chained in the cave were projected onto the walls reflecting the life of men and women outside of the cave and what was real for some was not for others, each living his own representation of reality.

Lisistrata Simone

Alessandra Lisistrata Simone, her first name is Alessandra, but she is very attached to her second name Lisistrata, thinking back to the comedy of Aristophane. She was born in Rome on 27th January 1967. She has always been interested in art. Beginning from her studies in Sociology, she sees that her path has been widened by her interest in others, by her desire to understand the world, the cultural changes that take place. In all this her love for photography has lead her to become more aware and sensitive, with the wish to use this medium to touch hearts and lead to action.

 

ACTA INTERNATIONAL

Giovanna Pennacchi, director

via Panisperna, 82-83

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Tuesday – Saturday 5.00pm – 8.30pm

Tel 064742005

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Angkor 2015 Photographs by Patrizia Molinari

A n g k o r 2015

Photographs by Patrizia Molinari

curator Manuela De Leonardis

Acta International Roma

22 April 22 – May 22, 2015

 

Opening Wednesday April 22, 6.30 pm

  

The exhibition is a series of photographs taken by Patrizia Molinari in January, 2015.  The author isolates fragments of the bas-reliefs in the corridor of Angkor Wat’s temple. Like an ancient roll or a modern strip, the stories come alive through the sculptural language depicting angels and demons, female and male divinities, warriors, animals, slaves, and rulers. Molinari is able to capture the depth of emotions expressed in this delicate sandstone carvings using only her iPhone to record the experience

Her photographs are “travel notes” in that they are similar to the diaries of travelers in the 20th century , primarily those of the French naturalist, entomologist, and explorer Henri Mouthot.  Each snapshot is a depiction of the artist’s observations. “Torn apart by the poverty of Cambodia, outraged by the destruction carried out by the Khmer Rouge, surrounded by the deafening silence of the West, the beauty of the monuments became for me an even stronger and unequalled emotion,” affirms Patrizia Molinari.

The photographs  are printed on Japanese paper which reveals the same magical atmosphere of a darkroom, the moment in which the image surfaces in the liquid and is subsequently developed fully. At the origin of life, the liquid element is always present in the entire poetic work of Patrizia Molinari.

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Born in Senegallia, in the region of Marche, in 1948, Patrizia Molinari lives and works in Rome. She is an Emeritus Professor in Art History at the Academies of Fine Arts in Frosinone, Naples and Rome. She has always dedicated to research on the White and Monochrome, looking at the interaction of light as subject in and of itself.

In her sculptures, Molinari works with Murano glass, industrial glass, steel, and fiber optically lit stones to create large public works (in Rome, in Crotone and in Senigallia). Now Molinari works primarily in photography investigating the same ideas of light, water and the color White, referencing to nature and human orgins. In 2013 Molinari partecipated in the Arte Fiera of Genoa, the Art Athina International Contemporary in Athens, the Present’Art Festival in Shanghai, and the Photissima Art Fair in Turin. Her works are present in Italian museums and important private collections both in Europe and the United States.

 

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